«Perché in Chiesa di giovani se ne vedono sempre meno e spariscono anno dopo anno i gruppi parrocchiali giovanili?» (p. 7). Questa domanda, che apre il libro di Armando Matteo, è ricorrente tra quanti sono impegnati nella pastorale giovanile o, più semplicemente, frequentano le parrocchie. L’A., a qualche anno di distanza dalla prima edizione, torna a occuparsene senza limitarsi a riproporre quanto già scritto, ma – come osserva Enzo Bianchi nella prefazione – offrendo un testo che si è confrontato con il tempo «per verificare la fondatezza delle tesi» sostenute (p. VII) e che tiene conto delle osservazioni, delle domande, delle intuizioni che erano state suscitate dalla sua prima apparizione.

Al centro del volume sono, ovviamente, loro, i giovani, e il loro rapporto con la fede. Dei giovani in genere si parla tanto nel dibattito pubblico e nei mezzi di comunicazione, ma poi trovano poco spazio per far sentire la loro voce ed essere davvero ascoltati. Sono da sempre associati al futuro della società, ma la retorica che accompagna questi discorsi li esclude dal presente, che resta saldamente in mano agli adulti di oggi, smarriti nel mito di un’eterna giovinezza e vittime di «un certo risentimento che […] spesso inconsapevolmente nutrono nei confronti delle giovani generazioni» (p. 56).

Proprio nel rapporto tra adulti e giovani l’A. individua una delle ragioni all’origine di questa nuova generazione incredula e anaffettiva nei confronti di Dio e della Chiesa: la catena di trasmissione della fede si è inceppata perché i genitori, cresciuti nel clima culturale della postmodernità, «hanno piano piano disimparato a credere e a pregare e così non vi hanno potuto avviare la loro prole» (p. 32). Un altro fattore è dato dalle realtà ecclesiali, che non sempre sono «“luoghi” ove si impara a credere e ove si impara a pregare» (p. 43). Come rispondere? Per l’A. si tratta di tornare a «comunicare una fede giovane, riscoprire la gioia dell’annuncio», fare opera di avvicinamento dei giovani «ai tesori della Bibbia, della liturgia, dell’immaginario sacramentario, della teologia, della letteratura e dell’arte cristiana» (pp. 69-70). La posta in gioco è certo la trasmissione della fede, ma non solo, dato che le realtà ecclesiali possono contribuire a «trovare una risposta corale ed effettiva alla sfida educativa posta innanzi a noi da un universo giovanile aggredito dal micidiale nichilismo» (p. 85). La convocazione del Sinodo dedicato ai giovani è allora un segno importante in questa battaglia profetica e l’intero processo diviene un’occasione preziosa per dare voce ai giovani.

 

 

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