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LA CHIESA E LA PROFEZIA MANCATA?   Commento alla Laudato si’ (1-5) di Giovanni Silvestri

La crisi che ci tiene da alcuni settimane ‘prigionieri’ in casa e ‘ricercati’ fuori, costringe a una amara riflessione. Come cristiani, per vari motivi, viviamo un momento di confusione e di smarrimento. L’incertezza del futuro e il disorientamento per una calamità senza precedenti ci hanno quasi tolto la parola, anche se di parole vuote ne sono volate tante. Molti si sono soffermati sulla varietà di comportamenti religiosi e atteggiamenti ritualistici più o meno strani, eccentrici, deliranti in qualche caso (fideismo, miracolismo, sciamanismo, e varie). Anche in alto non si è brillato per concretezza, incisività e lucidità nell’affrontare i nodi cruciali dell’attuale crisi ‘epidemica’.

Risposte e interrogativi e sull’attuale crisi si sono faticosamente rincorsi; da una parte, solo all’interno di un contesto autoreferenziale e di un universo sacrale e religioso; dall’altra, ci si è quasi del tutto adagiati a una visione fiacca, fatalistica, remissiva nei riguardi di un evento drammatico e terribile, di cui prendere semplicemente atto e al quale, di conseguenza, adeguarsi passivamente. Da ciò l’accettazione arrendevole dispositivi normativi da parte del governo, che ha avuto conseguenze molto gravi sul piano civile e sociale: drammatiche restrizioni sul piano dei diritti umani e civili, delle relazioni sociali, della mobilità personale, dei contatti familiari e umani, con tutto ciò che, a cascata, ne è conseguito sul piano della vita ecclesiale: chiusura di chiese, divieti di celebrazioni eucaristiche feriali e festive, divieti di celebrazione dei sacramenti, battesimi, matrimoni, funerali, ecc. Paura e terrore hanno fatto passare per normale uno “stato d’eccezione”, cui tutti ci siamo adeguati.

Mi chiedo, però: pur in uno “stato d’eccezione”, la chiesa può rinunciare del tutto alla sua vocazione profetica e critica? Può limitarsi, la chiesa del Risorto, a un ruolo meramente consolatorio e quasi rassegnato in un momento drammatico come questo? Può rassegnarsi a una debole proclamazione del suo messaggio, in forme surrogatorie e alquanto evanescenti, assicurate dai mass-media (o in streaming), e semplicemente nostalgiche e lamentose di un ritorno alla normalità? Possono, le comunità cristiane, limitarsi a una semplice, seppure impaziente e smaniosa, attesa di tempi migliori, quando si potrà finalmente riprendere la vita normale e lasciarsi alle spalle questo periodo buio?  Non ha proprio niente da dire e da obiettare, la Chiesa del Vangelo, su questo dramma presente, sulle cause prossime e remote che ne sono all’origine? Nulla da obiettare sui luoghi comuni e comodi di guardare a quanto è avvenuto?

Io credo di sì. La chiesa ha molto da dire e da profetizzare, e anche a voce alta! A patto di uscire dallo stato comatoso, dalla pigrizia sonnolenta di una Parola che è invece viva, efficace, tagliente più di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore! (Cf Eb. 4,12). Può, questa Parola, essere declinata solo su un versante consolatorio e doloristico, di rassicurazione provvidenzialistica, di conforto intimistico, di incoraggiamento psicologico e di affidamento fiducioso a Dio (“coraggio, ce la faremo!”)?

Papa Francesco durante il momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia, sul sagrato della basilica di San Pietro il 27 marzo 2020, ebbe a dire con tono incisivo «Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato».

Una requisitoria straordinariamente profetica! Pochi forse hanno notato la potenza dirompente di queste parole del papa, che a me sembrano punto di partenza per un cambio di radicale dell’atteggiamento della chiesa e occasione per riprendere un ruolo profetico, tutt’altro che rassegnato e provvidenzialistico sul momento attuale. È un punto di partenza che consente di rovesciare totalmente la prospettiva pigra e remissiva con cui si guarda alla situazione attuale. È il momento di risuscitare – con tutti i mea culpa possibili e doverosi – una Parola imprigionata dalla paura e dalla sonnolenza e ridare fiato a una lettura critico-profetica del momento attuale. Non possiamo sottrarci alle parole del papa.

Qual è il nesso di correlazione, se non di causalità vera e propria, tra mondo malato e l’evento pandemico? Solo fatalità, o ci sono precise responsabilità, personali e collettive da individuare e da rimuovere, gravissime colpe politiche, economiche, sociali, di cui fare solenni “mea culpa”? Solo incidente di percorso o atteggiamenti irresponsabili e sconsiderati nei confronti della natura, del mondo vegetale e animale, dell’ambiente, del clima, dell’aria, del mare, dei fiumi, dei boschi, ecc.? Solo destino, o insaziabile sete di profitto, bramosia di denaro, distorti e iniqui processi di sviluppo socio-economico, storture nella ricerca scientifica e tecnologica, ecc. che hanno sacrificato l’uomo e la sua dignità, la sua salute, la sopravvivenza di moltitudini di poveri del nostro pianeta?

Sono tante le domande che oggi ci devono imbarazzare. Su queste cruciali domande, mi riprometto di tornare, offrendo alla meditazione di tutti l’enciclica Laudato si’ di papa Francesco. Documento fondamentale del pensiero sociale della Chiesa oggi, a cinque anni dalla sua pubblicazione, stranamente quasi caduto nell’oblio, ma assolutamente da riprendere, se non vogliamo assistere inerti a un dramma epocale e trastullarci nei meandri della fatalità e della paura di un ‘contagio’ caduto dal cielo!

Iniziamo dunque la lettura a partire dai primi due paragrafi dell’enciclica.  «Laudato si’, mi’ Signore», cantava san Francesco d’Assisi. In questo bellissimo cantico, il santo di Assisi guarda alla nostra casa comune, la natura, con stupefacente lungimiranza e con immagini toccanti, come a una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza e, anzi, come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba”. Questa sorella e madre protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile che ne facciamo e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti, purtroppo, pensando di essere suoi proprietari, dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato l’abbiamo riversata irresponsabilmente, non solo tra noi uomini, ma anche nel suolo, nell’acqua, nel mare, nei fiumi, nei boschi, nei monti, nell’aria e negli esseri viventi che popolano la terra. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, non ci sono solo centinaia di milioni di esseri umani poveri, ma c’è anche la nostra oppressa e devastata terra, la natura che ci accoglie e che “geme e soffre le doglie del parto” (Rm 8,22). Abbiamo anche dimenticato, dice il papa, che l’offesa fatta alla terra è offesa fatta a noi stessi, perché noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7); il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora».

Perciò il problema ecologico, ovvero il deterioramento globale dell’ambiente, è della massima importanza per il presente e il futuro dell’umanità. Nessuno può sentirsi indifferente, dice il papa, alle sofferenze della natura. La questione è veramente decisiva. Decisiva, a mio parere, anche per una maggiore comprensione dell’evento epidemico attuale. Molti studiosi, infatti, mettono ormai in evidenza come i gravissimi guasti all’ambiente, provocati dal dominio inconsulto dell’uomo sulla natura, della sua attività incontrollata sull’ambiente, provocano un progressivo degrado che favorisce l’insorgere di nuove malattie, l’aggravarsi di patologie esistenti; così, l’avvelenamento dei campi, dell’acqua, dell’aria, del suolo, dei cibi, ecc., tutto si ritorce immancabilmente contro l’uomo stesso!  Viene da chiedersi: quanto hanno influito sulla salute tali guasti in alcune regioni italiane, soprattutto nelle zone ad alta industrializzazione e nelle aree metropolitane (zone molto inquinate da smog, fumi e polveri sottili, nano particelle, cementificazione selvaggia, sversamento di rifiuti nelle acque, pesticidi, smaltimento di liquami animali, ecc.)? In tanti ne parlano; ma tanti altri trascurano, invece, completamente la questione, come se, prima o poi, alcuni nodi non dovessero venire al pettine.

La natura, dice papa Francesco, con metafore struggenti, è ‘casa comune’ che ci accoglie; ‘sorella’ con la quale condividiamo l’esistenza, ‘madre bella’ che ci accoglie fra le sue braccia! Solo poesia e sentimento? Non credo, ma nuda verità! Altro che mondo ‘macchina’(o ‘res extensa’ come la chiamava Cartesio), realtà inerte da sfruttare, saccheggiare e devastare. La nostra terra geme e soffre davvero come una sorella offesa o una madre umiliata dai figli, dice il papa. Quando lo capiremo veramente? Basteranno i tanti lutti e le grandi sofferenze di questa pandemia a farcelo capire? Continueremo a chiudere gli occhi, a turarci le orecchie e a mettere la testa sotto la sabbia?

 

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Il dolore più grande e devastante, in questo momento, è certamente quello delle famiglie toccate dal lutto dei loro cari, crudelmente sottratti anche alla loro ultima carezza. Vittime di chi? Mi chiedo. Chi sono gli assassini?!?  Propongo oggi, la lettura dei paragrafi 6-12 della Laudato si’. Papa Francesco ci fa riflettere sulle ferite che, irresponsabilmente, tutti ed ognuno, abbiamo inferte al “libro della natura … unico e indivisibile” (uomo e ambiente). Ferite gravissime causate dalla nostra supponenza e dal nostro arbitrio. Un malinteso senso di libertà e di superiorità, infatti, ci ha fatto ritenere padroni assoluti e despoti della natura, della terra da cui proveniamo. Così, invece che restare gelosi custodi e coltivatori amorevoli del giardino meraviglioso che Dio ci ha affidato, ci siamo trasformati in sfruttatori irresponsabili.

Le ferite inferte alla natura – papa Francesco cita il patriarca Bartolomeo – sono stati dei crimini contro noi stessi e contro il creatore. Ora, finalmente, dice magnificamente il patriarca, dobbiamo riconoscere che il «mondo è sacramento di comunione», dove il divino e l’umano s’ incontrano “nel più piccolo dettaglio della veste senza cuciture della creazione di Dio, persino nell’ultimo granello di polvere del nostro pianeta».  Stupende parole! ‘Mondo’ come ‘sacramento di comunione’, ‘creazione’ come ‘tunica di Cristo’. Mai parole così sublimi sono state pronunciate per muoverci a capire di cosa parliamo quando ci accostiamo all’ambiente e quale non deve essere il rispetto e l’amore che dobbiamo alla natura. Mai parole così alte e ardite, come quelle dette dal patriarca Bartolomeo, che abbiano adombrato più efficacemente il legame nuziale uomo-terra. ‘Sacramento di comunione’: del divino con l’umano, dell’umano e con il naturale. Siamo una sola cosa, un’unica veste, un’unica tessitura, come la “tunica inconsutile di Cristo”!

Quando smetteremo veramente di essere credenti a parole, dimentichi di questo manto meraviglioso che ci avvolge come in un grembo? Quando smetteremo di dividere, di tirare a sorte, strappare, inquinare, bruciare, sporcare questa “veste senza cuciture di Cristo” che è la terra in ogni suo frammento? Essere praticanti in chiesa e saccheggiare in modo cinico il dono della creazione è assurdità imperdonabile. Pregare Dio e devastare la natura è professione di ateismo, semplicemente. Di più. Andare in chiesa e profanare il ‘sacramento di comunione’ (l’unità simbolico-nuziale Dio creazione, uomo-natura) è crimine contro Dio, contro i fratelli e contro noi stessi. Ora, per cambiare seriamente strada, neanche basta più dire che la natura è semplicemente ‘sacra’. Troppo poco. Essa è molto, moltissimo di più.

  Il simbolismo sacramentale e sponsale intuito e magnificamente espresso dal Patriarca Bartolomeo, fatto proprio da papa Francesco (n. 9), fa sublime il rapporto costitutivo e intimo tra uomo e natura. Da questa coscienza, più che un semplice e doveroso rispetto per la sacralità della natura, declinato sul versante sentimentalistico, nasce nell’uomo una ineffabile relazione elettiva, un amore vero e proprio. Da questa alleanza d’amore, non può non nascere, poi, un rigoglio di atteggiamenti e di sentimenti profondi, a volte inesprimibili, ma declinabili sul versante di una amorevole reciprocità contemplativa e interattiva. Da una parte: meraviglia, stupore, incanto, seduzione, ammirazione; dall’altra gratitudine, debito, gioia, lode, riconoscenza, verso una natura che avvertiamo come puro dono, come ineffabile gratuità. Immersi in un creato che ci genera e ci accoglie, proviamo stupore e gratitudine per lo sconfinato splendore di tutte le creature: per la bellezza del cielo, del mare, della terra, per le svariate forme di vita vegetale e animale; per le stupende e incredibili conformazioni del suolo, dei fiumi, degli oceani, dei mari, dei monti, dei deserti, delle colline, dei vulcani, dei ghiacciai (Cf. Dn 3,57-88, Sal 8, 92, 188).

La più profonda verità è, poi, il fatto che noi uomini cresciamo in questo universo, maturiamo la nostra vita personale in esso e per esso prendiamo coscienza della nostra dignità di uomini. La natura ci è sempre d’appresso dentro e fuori di noi, essa ci fa fa da specchio limpido e continuo sulla via della maturazione del nostro ‘io’ e dell’’io’ altrui, ma sempre dentro al suo manto che ci avvolge, da quando nasciamo sino al termine della nostra vita. Via via familiarizziamo con quanto ci è meno noto e misterioso in questo immenso universo. Siamo affascinati dai suoi inesauribili segreti e ci dilettiamo a giocare e a interloquire con tutte le sue creature e con tutte le sue meraviglie. Proviamo incanto e riconoscenza per le infinite variazioni e lo sfoggio inebriante di colori, profumi, odori, sapori, fragranze; per la inesauribile varietà di piante, erbe, fiori, semi, alberi, frutti da cui attingiamo cibo e sostegno (Guardate i gigli del campo…guardate gli uccelli del cielo… cf. Mt 6; cf. anche le stupende analogie sponsali espresse da frutti e fiori del giardino del Cantico dei cantici). Stupore e intimo sbigottimento avvertiamo per le incredibili sfumature di orizzonti, di panorami, di scenari mozzafiato e incantevoli paesaggi, di albe, aurore e tramonti. Da emozioni e paure siamo pure conquistati quando a dar spettacolo sono le smisurate e maestose forze della natura: fuoco, vento, tempeste, mareggiate, cascate, cicloni, uragani, terremoti. Che dire poi delle sublimi vertigini, della commozione interiore quando accostiamo l’infinitamente grande sopra di noi: sole e luna, astri e pianeti, infinite stelle e miriadi di costellazioni, immensità delle galassie, infiniti spazi e limiti irraggiungibili. E l’infinitamente piccolo, poi, di cui ci parlano i fisici? Quello che non riusciamo nemmeno a immaginare? Atomi, protoni, neutroni, neutrini, fotoni, elettroni, ecc., Come non restare affascinati davanti a ciò che, invisibile agli occhi, è tuttavia energia possente e sorgente di forza spettacolare e rischiosa, ma pur sempre scaturigine insospettata di vita, di espansione, di amore?

E poi… e poi… Possiamo dimenticare le infinite bellezze create dall’uomo stesso, dal suo genio e dalla sua stupefacente creatività ma sempre intrecciate ai materiali e agli elementi che la natura ci offre generosamente per ogni dove? Come non restare estasiati e totalmente rapiti davanti alla ricchezza esorbitante di beni e manufatti culturali? Come non stupirsi delle bellezze che l’uomo, in ogni spazio e in ogni tempo, ha saputo creare e spargere dovunque: beni estetici, artistici, letterari, religiosi, musicali, educativi, morali, intellettuali?  Ci sarebbe da raccontare e da ripercorrere tutta la storia umana per meglio rendersi conto del meraviglioso mondo creato dall’uomo stesso, immagine di Dio. Questo il mondo in cui ci è dato vivere, il mondo in cui la natura è casa, madre, sorella, sposa, nutrice, maestra, educatrice dell’uomo; e l’uomo: amico, coltivatore, artigiano, artista, pittore, scultore, genio, sposo, seduttore e ammiratore di ogni cosa buona che essa produce. Un mondo di inesauribili ricchezze, di infinite potenzialità, di sovrabbondante capacità di rigenerazione e di trasformazione.

Possiamo comprendere, ora, la bellezza infinita del “Cantico delle creature” di s. Francesco; il suo contagioso incanto e il suo amore per tutte le creature; il suo sorprendente legame di amore e di tenerezza che egli intrattenne con tutte le cose create, coi fiori, con le piante, con gli animali, con gli uccelli, con l’acqua, col fuoco, col sole, con la madre terra, con tutte “le cose umili et preziose et belle!” e, inoltre, meravigliosamente coi poveri, i lebbrosi, gli ammalati. ”Laudato si’ mi Signore!” Non si spiegherebbe questa enciclica del papa, senza l’apporto di S. Francesco, giullare di Assisi, cantore e difensore estremo delle cose create; senza di lui che, alla sequela di Cristo povero, si è fatto il più povero e il più ricco del mondo!

 

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